Tutti noi sappiamo che l'evoluzione dell'epidemia in Italia è stata più grave del previsto: il contributo pagato in termini di vite umane è stato molto pesante e anche se adesso il contagio sembra essere sotto controllo, la situazione non è ancora risolta e non è possibile abbassare la guardia, in quanto la curva dei contagi è pronta a risalire non appena andremo ad adottare comportamenti non consoni (basta guardare cosa sta accadendo negli ultimi giorni in Spagna e Francia). Sebbene il sudore non sia veicolo di infezione, il problema è rappresentato dalle droplets - le "goccioline" prodotte dalla respirazione - e quindi è necessario mantenere almeno un metro di distanza, meglio due...in sostanza: bisogna correre da soli o a piccoli gruppi, sempre mantenendo un'adeguata distanza gli uni dagli altri.
Quindi temo ci sia poco da fare: dovremo abituarci all'idea di rimanere senza la possibilità di metterci un numero sul petto, ritrovarci con centinaia o migliaia di nostri compagni e avversari, aspettare il colpo di pistola e correre verso lo striscione d'arrivo. Tutto questo, al momento, ci sembra un miraggio ancora lontano, lontanissimo. Anzi, fondamentalmente tutto è ancora abbastanza in altomare. Abbiamo provato a consultare le principali regole che la Fidal sta studiando per far disputare le gare, regole che sembrano però di difficile attuazione (chi volesse approfondire può consultare il seguente link http://www.fidal.it/content/Emergenza-Covid-19/127307): organizzare le gare così appare impossibile ed antieconomico per gli organizzatori, mentre per i runner significa perdere l’essenza della gara, la felicità di ritrovare gli amici.
Siamo quindi di fronte a due problemi distinti: l'impossibilità di gareggiare e la necessità di continuare a correre in solitudine.
Se andiamo ad analizzare separatamente i due aspetti partendo dal primo, credo che tutti coloro che si stavano allenando per la Roma-Ostia (che non si è corsa l'8 marzo a causa dell'imminente lockdown dell'11 marzo) e per altre mezze maratone e maratone che non si correranno nelle prossime settimane, abbiano tutti avuto una reazione più o meno di questo tipo: siccome mi sento bene, siccome ho fatto tanti sacrifici, trovo qualche amico e corro lo stesso la distanza che avevo preparato...vi ricordate in tempo di lockdown il proliferare di post cui abbiamo assistito su facebok e instagram, in cui c'era il "fenomeno" di turno che correva la maratona sul terrazzo di casa o la 100 km nel cortile del condominio?
Per carità, correre in compagnia dei propri amici è sempre bello, ma credo che la gara sia una cosa molto diversa da una corsa domenicale in compagnia, per quanto misurata e cronometrata con precisione. La gara è un evento. Il numero sul petto non serve solo a distinguere ogni corridore dagli altri e garantirgli il diritto di godere dei vantaggi dell'organizzazione (cronometraggio, rifornimenti, sicurezza): il numero sul petto dovrebbe proiettarlo in una realtà speciale, in un mondo a parte dove le condizioni sono diverse da quelle della vita normale (il più caro amico e compagno di allenamento, ad esempio, diventa un avversario da battere), e diverse dovrebbero essere di conseguenza anche la concentrazione, l'impegno, la disponibilità al sacrificio. Per questo gli atleti "agonisti" in gara rendono di più. Corrono veramente più veloce, perché quella realtà speciale risveglia in loro la capacità di fare appello a tutte le energie fisiche e mentali che possiedono.

Il secondo problema è più complesso. Correre da soli, senza i propri abituali compagni di allenamento (almeno per chi ha la fortuna di averli) è psicologicamente più impegnativo. Quante volte capita di uscire all'alba solo perché qualcuno ci aspetta? O ci si "appoggia" all'andatura di un amico che quel giorno è un po' più brillante? E quanto spesso ci accorgiamo che persino gli allenamenti più facili se fatti in solitudine pesano, mentre in compagnia volano via chiacchierando? Quando ci si allena da soli il peso psicologico non può essere diviso. Oggi, all'epoca del Covid-19, c'è poi un'ulteriore aggravante: non soltanto siamo stati privati da un giorno all'altro del sostegno dei compagni, ma dobbiamo correre senza seguire una "tabella", visto che non sappiamo quando sarà possibile tornare a gareggiare. Correre per il solo piacere di correre.
Non è facile...non per tutti, almeno. Non per chi, come me, come noi, è abituato da sempre ad allenarsi in vista di un obiettivo agonistico: la fatica si affronta meglio se è finalizzata a migliorare le prestazione. Perché altrimenti costringersi alla sofferenza delle ripetute in pista, o delle salite, o di un fartlek tirato al limite? In attesa di tempi migliori, dobbiamo amare la solitudine, anch'essa fondamentale nel nostro sport. In questa strana e sfortunata stagione abbiamo l'occasione di riscoprirla e amarla. Perché in solitudine si impara ad ascoltare con più attenzione il proprio corpo, qualità indispensabile per un buon maratoneta; e perché in solitudine ci possiamo regalare ore di libertà.
Libertà di correre senza orologio, di correre disegnando un percorso nuovo, di fermarci ad ammirare un panorama, di inventare un fartlek il giorno in cui ci sarebbe stato un lungo-lento, di inseguire un ciclista in salita anche se resteremo senza fiato prima di arrivare in cima. Di essere felicemente indisciplinati, per scoprire poi che abbiamo fatto la cosa giusta.
Alla luce di quanto detto, il Direttivo è attualmente impegnato a ideare un circuito per i nostri tesserati che vada a integrare le due cose: ossia "gareggiare" in solitudine. Impossibile, direte voi...vero, impossibile...sappiamo bene che le gare non si possono organizzare, che non si può correre in gruppi numerosi, che va garantito il giusto distanziamento...eppure una strana idea ci ronza in testa e siamo fiduciosi che è possibile realizzarla. Dateci fiducia...dateci tempo e aggiorniamoci dopo l'estate...se le gare su strada non dovessero riprendere siamo certi che la nostra idea vi piacerà!
Quindi rimanete sintonizzati e...BUONE VACANZE A TUTTI!!!
Ciao a tutti e alla prossima.